Il decreto legge 112/2008 tocca trasversalmente con tutta una serie di vari interventi legislativi materie diverse. Toccheremo gli aspetti più importanti che involgono il pubblico impiego contenuti nel capo II destinato al contenimento della spesa per l’impiego pubblico.Gli argomenti di maggior rilievo sono nell’ordine dati dall’articolo 66 (turn over) che impone alle amministrazioni di limitare la programmazione triennale del fabbisogno di personale. – Il successivo articolo 67 limita le risorse economiche da destinare alla contrattazione integrativa. E’ inoltre previsto che i proventi dalla riduzione di spesa vadano versati dagli enti e dalle amministrazioni alle casse dello Stato.Sono inoltre introdotte con la medesima disposizione alcune modifiche all’articolo 47 del DLGS 165/2001 in base al quale era previsto che se la certificazione della Corte dei Conti per la stipula del contratto collettivo non era positiva, l'ARAN, sentito il comitato di settore o il Presidente del Consiglio dei ministri, doveva assumere le iniziative necessarie per adeguare la quantifcazione dei costi contrattuali ai fini della certificazione, ovvero, qualora non lo ritenesse possibile, avrebbe dovuto convocare le organizzazioni sindacali ai fini della riapertura delle trattative.Il nuovo articolo 47 impone invece alle parti, in caso di certificazione negativa, di non sottoscrivere il contratto. Il successivo articolo 68 impone quindi alle amministrazione la riduzione degli organismi collegiali, evitando la duplicazione di strutture. Per espressa menzione del legislatore sono aboliti l’Alto Commissario per la prevenzione ed il contrasto della corruzione e delle altre forme di illecito all'interno della pubblica amministrazione di cui all'articolo 1 della legge 16 gennaio 2003, n. 3 e successive modificazioni, l’ Alto Commissario per la lotta alla contraffazione, la Commissione per l'inquadramento del personale gia' dipendente da organismi militari operanti nel territorio nazionale nell'ambitodella Comunita' Atlantica di cui all'articolo 2, comma 2, della legge 9 marzo 1971, n. 98.Sin qui i provvedimenti aventi in qualche modo rilievo sull’organizzazione generale degli enti. I successivi articoli invece si riflettono in maniera diretta su trattamenti legali e per la gran parte contrattuali di spettanza del personale dipendente, intervenendo così in maniera diretta sulla disciplina del lavoro.E’ la volta infatti dell’articolo 70 che elimina qualunque trattamento aggiuntivo all’equo indennizzo previsto da norme di legge o contrattuali a causa di infermità di servizio di cui alla tabella A annessa al DPR 30 dicembre 1981 n.834.Maggiormente mirata ad interferire con il trattamento economico del dipendente è il successivo articolo 71 ( assenze per malattia e per permesso retribuito dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni.) .La norma in primo luogo limita al personale pubblico nei primi giorni di malattia, senza ricovero ospedaliero, il pagamento al solo trattamento economico fondamentale con l’esclusione di ogni altra indennità o emolumento anche a carattere fisso o continuativo. Stabilisce la norma che i risparmi così ottenuti non potranno essere impiegati per incrementare i fondi per la contrattazione collettiva.Il comma successivo impone invece dopo l’assenza di dieci giorni o dopo il secondo evento di malattia la presentazione di certificazione medica rilasciata da struttura sanitaria pubblica.E’ quindi disposto che L'amministrazione dispone il controllo in ordine alla sussistenza della malattia del dipendente anche nel caso di assenza di un solo giorno, tenuto conto delle esigenze funzionali eorganizzative. Le fasce orarie di reperibilita' del lavoratore, entro le quali devono essere effettuate le visite mediche di controllo, e' dalle ore 8.00 alle ore 13.00 e dalle ore 14 alle ore 20.00 di tutti i giorni, compresi i non lavorativi e i festivi.Stretti limiti sono quindi imposti alla contrattazione collettiva ed alle normative di settore nello stabilire la quantificazione dei permessi esclusivamente ad ore. E’ stabilito inoltre che le assenze dal servizio per malattia non sono equiparate alla presenza in servizio ai fini della distribuzione delle somme dei fondi per la contrattazione integrativa. Fanno eccezione le assenze per congedo di maternita', compresa l'interdizione anticipata dal lavoro, e per congedo di paternita', le assenze dovute alla fruizione di permessi per lutto, per citazione a testimoniare e per l'espletamento delle funzioni di giudice popolare, nonche' le assenze previste dall'articolo 4, comma 1, della legge 8 marzo 2000, n. 53, e per i soli dipendenti portatori di handicap grave, i permessi di cui all'articolo 33, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104.E’ quindi stabilita l’inderogabilità di tali norme in tema di assenze da parte della contrattazione collettiva.Il successivo articolo 72 tratta invece della risoluzione del rapporto di lavoro.Una prima disposizione consente un accompagnamento alla pensione ( 40 anni di contributi) per il dipendente cui manchino cinque anni per il trattamento di quiescenza. In questo caso, il dipendente può ricevere senza lavorare il 50% della retribuzione sino alla data del pensionamento. E’ escluso da questa disposizione il personale della scuola. Per il restante personale, resta facoltà dell’amministrazione accogliere la domanda. All'atto del collocamento a riposo per raggiunti limiti di eta'il dipendente ha diritto al trattamento di quiescenza e previdenzache sarebbe spettato se fosse rimasto in servizio. Il trattamento economico temporaneo spettante durante il periodo di esonero dal servizio e' cumulabile con altri redditi derivanti da prestazioni lavorative rese dal dipendente come lavoratore autonomo o per collaborazioni e consulenze con soggetti diversi dalleamministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 o societa' e consorzi dalle stesse partecipati. In ogni caso non e' consentito l'esercizio diprestazioni lavorative da cui possa derivare un pregiudizio all'amministrazione di appartenenza.Per converso la domanda di trattenimento in servizio in base alle nuove disposizioni non deve essere più obbligatoriamente accolta dall’amministrazione. Quest’ultima potrà valutare se accogliere o meno la domanda tenendo conto delle proprie esigenze organizzative e funzionali.Sempre in tema di risoluzione del rapporto, il successivo comma 11 prevede che Nel caso di compimento dell'anzianita' massima contributiva di 40 anni del personale dipendente, le pubbliche amministrazioni di cuiall'articolo 1, comma 2 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 possono risolvere, fermo restando quanto previsto dalla disciplina vigente in materia di decorrenze dei trattamenti pensionistici, ilrapporto lavoro con un preavviso di sei mesi.L’articolo 73 invece modifica l’articolo 1, comma 58, della legge 23 dicembre 1996 n.662 stabilendo che l’instaurazione del rapporto di lavoro a tempo parziale non è più a determinate condizioni un diritto del dipendente pubblico, ma che l’instaurazione di detto rapporto può essere concessa dall’amministrazione.
Come possiamo vedere l’intervento legislativo tocca aspetti di organizzazione generale dell’amministrazione ( c.d. macro organizzazione) e contestualmente interviene in ordine sparso su aspetti concreti del rapporto individuale e collettivo di lavoro.Il provvedimento emanato assume la forma del decreto legge. E’ dunque un atto promanato dal Governo che assume provvisoriamente forza di legge e che dovrà entro sessanta giorni dalla sua pubblicazione nella gazzetta essere convertito in legge dalle camere.Presupposto per giustificare un simile provvedimento è la sussistenza di un caso straordinario di necessità ed urgenza.Un simile controllo spetta alla Corte Costituzionale che può per la mancanza di simili requisiti bocciare il provvedimento senza entrare nel merito.Nonostante le caratteristiche sostanzialmente disorganiche di provvedimento a temi quanto mai variegati e la natura di eccezionalità, il decreto 112/2008 intervenendo su taluni aspetti concernenti il rapporto di lavoro nelle pubbliche amministrazioni, scuote taluni principi generali di riforma contenuti all’articolo 2 della legge 23 ottobre 1992 n.421 costituente delega al governo per la riforma dell’impiego pubblico che si svilupperà nel successivo decennio alla luce del principio che i rapporti di impiego dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni sono ricondotti sotto la disciplina del diritto civile e sono regolati mediante contratti individuali e collettivi.
Dunque un intervento frammentato e disorganico che entra in una materia dove ormai si è consolidato un indirizzo normativo avallato da autorevoli interventi della Corte Costituzionale ( C. Costituzionale n.314/2003). Tale situazione normativa si fonda sulla legge delega 23 ottobre 1992 n.421 ( delega al Governo per la razionalizzazione e la revisione delle discipline in materia di sanità, di pubblico impiego, di previdenza e di finanza territoriale). La fonte normativa in questione che costituisce principio fondamentale di riforma prevede che, i rapporti di lavoro dei dipendenti delle amministrazioni dello Stato e degli altri enti pubblici siano ricondotti alla disciplina del diritto civile e siano regolati mediante contratti individuali e collettivi. Ne deriva come del resto autorevolmente rilevato dalla Consulta ( Corte Costituzionale sentenza n.314/2003) che la contrattazione collettiva costituisce “ metodo di disciplina” del rapporto di pubblico impiego che assurgerebbe al rango di norma costituzionale, tale da limitare anche disposizioni difformi degli ordinamenti regionali. ( in tal senso Corte costituzionale, 18 maggio 1999, n. 171).
L’opzione per la competenza esclusiva dell’autonomia collettiva è quindi basata su tutta una serie penetrante di vincoli che attengono alle procedure contrattuali, al contenuto dei contratti, alla struttura retributiva.
In secondo luogo, ai contratti collettivi per la prima volta è attribuito persino l’effetto di disapplicare sia la precedente normativa regolamentare, sia le disposizioni di legge che prevedano automatismi e trattamenti accessori.
Questo regime normativo trovava giustificazione nelle finalità che la complessiva riforma dei rapporti di lavoro pubblico si proponeva in tema di controllo della spesa pubblica ed una più efficiente gestione delle risorse umane. Questi sono, guarda caso, gli stessi obiettivi che, in premessa si propone il decreto legge 112/2008.
E’ chiaro che il regime anzidetto è stato introdotto con norma di legge (anche se costituente principio di riforma) e con norma di legge esso può pure essere derogato.
Non va taciuto però come sussista un interesse generale ed in qualche modo costituzionalmente sancito all’organicità delle norme e ad evitare la decretazione su temi così importanti.
La contrattualizzazione del rapporto di lavoro è d’altro canto bilanciata da un ruolo forte della dirigenza che garantito il proprio ruolo rispetto a quello del potere politico anche sulla base dell’articolo 97 della Costituzione, dovrebbe costituire il vero fulcro per interventi di amministrazione del rapporto di lavoro anche in funzione correttiva.
E’ chiaro che una continua interferenza legislativa di dettaglio su aspetti concreti del rapporto di lavoro sminuisce il ruolo della dirigenza ponendosi in antitesi con lo spirito della riforma.
Appare poi del tutto priva di ragione, una disposizione di legge che, una volta istituita una sostanziale equiparazione tra lavoro pubblico e privato, individuando nel testo di riforma le differenze necessarie ed ontologiche, stabilisce un regime del trattamento di malattia diverso e deteriore per il dipendente pubblico.
Non appare peregrino accennare ad una possibile violazione dell’articolo 3 della costituzione.
Non va sottaciuto che la giurisprudenza della Corte Costituzionale (ormai consolidata) ha individuato alcuni criteri che valgono come indici dell’eccesso di potere legislativo. Tali criteri sono quello della assoluta illogicità , incoerenza od arbitrarietà della motivazione della legge o della palese contraddittorietà rispetto ai presupposti, quello della irragionevolezza delle statuizioni legislative rispetto alla realizzazione concreta del fine, quello dell’incongruità tra mezzi e fini che la legge intende conseguire.( Martines, Diritto Costituzionale, Giuffrè, 2001, 304).
Problemi molto seri sorgono pure le normative contrattuali in essere che difficilmente possono essere soppiantate dal decreto legge in questione senza che venga violata l’autonomia sindacale e collettiva garantita dall’articolo 39 della Costituzione.
Ma vi è un punto dove il decreto 112/2008 può trovare reali e consistenti limiti.
Parliamo delle autonomie regionali ed in particolare dei vincoli di queste ultime nei confronti del decreto in esame.
L’articolo 1 del DLGS 165/2001 che introduce i principi fondamentali della privatizzazione del pubblico impiego stabilisce che i principi della legge delega 421/1992 e quindi la riconduzione del lavoro pubblico alla disciplina della contrattazione collettiva e delle leggi sul lavoro costituisce norma fondamentale di riforma economico – sociale della Repubblica e, come tali, inderogabili anche da parte delle regioni a statuto speciale.
Appare intuibile che se il decreto 112/2008 introduce nuovamente specifiche norme di legge per disciplinare le retribuzioni, la malattia ed i permessi dei pubblici dipendenti, le regioni a statuto speciale debbono invece attenersi ai principi di riforma economico sociale della Repubblica costituiti dalla legge delega 421/92 che stabilisce come regola la disciplina del pubblico impiego con norme contrattuali e con le normali leggi del lavoro dipendente.
La Corte Costituzionale ( Corte costituzionale, 18 ottobre 1996, n. 352) ha ritenuto come anche le regioni a statuto speciale siano vincolate alla disciplina contrattuale dei rapporti di lavoro perché sancita nell’ambito dei principi di riforma economico sociale introdotti dalla legge delega 421/92.
La Corte riteneva così l’obbligo della Regione Autonoma Valle D’Aosta di regolare la materia dei permessi sindacali esclusivamente per il tramite della contrattazione collettiva.
Ne deriva, ad avviso di chi scrive, che le regioni a statuto speciale dovranno conformarsi a tali principi ancora validi e quindi potranno disciplinare il rapporto di lavoro degli enti pubblici operanti nell’ambito della regione mediante la contrattazione collettiva, evitando di introdurre specifiche normative nazionali non aventi valore di principio di riforma.
Su questi temi, senza preconcetto alcuno, fermamente convinto che nella pubblica amministrazione molto vada ancora cambiato, ritengo però che la riforma intrapresa all’inizio degli anni 90 volta all’equiparazione del pubblico impiego al lavoro privato vada portata avanti coerentemente attribuendo alla contrattazione collettiva, alla dirigenza ed ai singoli dipendenti le loro responsabilità e non affidando la salvezza dell’amministrazione a surrettizie, improvvisate e discriminatorie norme di legge.
Non saranno pertanto sporadici interventi basati sul compiacimento dell’emotività del momento a salvare la nostra pubblica amministrazione. Va invece portata a termine la sua modernizzazione e la totale equiparazione al lavoro privato.
08/08/08
Decreto legge 112/2008 e pubblico impiego(1). I contenuti in linea di massima e la sostanza degli interventi.
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